Le seconde generazioni e il problema dell’identità culturale: ci troviamo di fronte a un conflitto culturale o generazionale? E’ il giornalista Gad Lerner a moderare l’incontro “Seconde generazioni a chi? Politiche di cittadinanza, integrazione e partecipazione giovanile”, il 27 maggio alle 17.30 al Teatro Cavallerizza di Reggio Emilia. I dati e le ricerche mostrano come il sentimento di esclusione e discriminazione sia diffuso tra i giovani di seconda generazione residenti nei paesi dell’Unione Europea. Con questa etichetta, peraltro spesso mal supportata dai diretti interessati, si intende fare riferimento ai giovani nati nel paese nel quale i propri genitori sono emigrati. Sono dunque persone che non hanno di fatto sperimentato la migrazione e per i quali il paese in cui vivono è in tutto e per tutto il loro paese. I sentimenti di esclusione sono presenti anche laddove questi giovani sono a tutti gli effetti cittadini, come in Francia, Belgio e Olanda, rendendo evidente che la concessione formale della cittadinanza non è in sé una garanzia sufficiente di integrazione, pur essendo certamente uno tra i requisiti più importanti. Le questioni principali che vengono discusse in questo incontro riguardano l’integrazione scolastica dei giovani di seconda generazione, con particolare riguardo al rapporto scuola/famiglia, all’ abbandono scolastico e alla marcata concentrazione di giovani stranieri nelle scuole professionali.
Non solo seconde generazioni… L’intera giornata di venerdì è dedicata ai giovani e ai giovanissimi, partendo dall’infanzia e dai servizi educativi. Si comincia con una riflessione sul futuro dei servizi educativi per la prima infanzia, che non può prescindere dal confrontarsi con le sfide legate alla promozione dell’innovazione e della qualità educativa. Al centro del dibattito “Coltivare il futuro: sfide per l’innovazione e la qualità educativa oggi” c’è una domanda: dopo oltre quarant’anni dalla legge 1044 del 1971 che istituiva gli asili nido intesi come “un servizio sociale di interesse pubblico”, quali ingredienti possono oggi essere considerati essenziali per promuovere la qualità dei servizi educativi per i bambini e le bambine da zero a sei anni? (10.00, Teatro Cavallerizza).
Strettamente legato a questo tema c’è quello, delicatissimo, della conciliazione tra tempi di lavoro e famiglia, ovvero come “dividersi per moltiplicarsi”. La disponibilità di posti negli asili e nelle materne, l’accessibilità in termini di costi, l’organizzazione oraria e la qualità sono tuttavia aspetti essenziali dei servizi che variano significativamente da paese a paese, incidendo sulla loro efficacia nel rispondere alle esigenze di conciliazione tra lavoro e famiglia. Concentrando l’attenzione sui servizi educativi per le bambine e i bambini fra zero e sei anni, l’Italia rimanda un’immagine per certi versi poco incoraggiante; se ne parla nel corso dell’incontro “Scuola a misura di genitore: conciliare vita, lavoro e famiglia” (11.30, Teatro Cavallerizza). Occuparsi di mass media, e in particolare di televisione e di Internet, è oggi la cosa più importante per chi ha un ruolo educativo e la via più diretta per chi cerca la spiegazione dei profondi cambiamenti che hanno preso forma negli ultimi anni nella nostra società. Di fronte alla sempre più stretta connessione e interdipendenza tra vita quotidiana e uso dei media, diventano fondamentali la riflessione e l’azione in campo educativo che abbiano come fine l’innalzamento del livello di consapevolezza delle generazioni più giovani. Le diverse testimonianze che dialogano nel dibattito “A cosa serve l’educazione ai media?” permetteranno al pubblico di comprendere l’importanza strategica dell’educazione ai media per un futuro di convivenza sociale democratica e sostenibile (15.30, Teatro Cavallerizza). Alla sera libri e musica con Alessandro Leogrande e il violino di Alaa Arsheed C’è una linea immaginaria eppure realissima, un luogo di tutti e di nessuno di cui ognuno, invisibilmente, è parte: è la frontiera che separa e insieme unisce il Nord del mondo, democratico, liberale e civilizzato, e il Sud, povero, morso dalla guerra, arretrato e antidemocratico. Alessandro Leogrande venerdì 27 maggio alle 20 presenta il suo libro “La frontiera”, edito da Feltrinelli (Chiostro del Marmi, Musei Civici): porta il pubblico a bordo delle navi dell’operazione Mare Nostrum e pesca le parole dai fondali marini in cui stanno incastrate e nascoste. Lo porta a conoscere trafficanti e baby-scafisti, insieme alle storie dei sopravvissuti ai naufragi del Mediterraneo al largo di Lampedusa; ricostruisce la storia degli eritrei, popolo tra i popoli forzati alla migrazione da una feroce dittatura, causata anche dal colonialismo italiano; racconta l’altra frontiera, quella greca, quella di Alba Dorata e di Patrasso, e poi l’altra ancora, quella dei Balcani; introduce in una Libia esplosa e devastata, fa entrare dentro i Cie italiani e i loro soprusi, nella violenza della periferia romana e in quella nascosta nelle nostre anime. La serata prosegue con un dialogo e un concerto: a prendere la “parola” è un musicista in fuga dalla sua patria, la Siria. Alaa Arsheed ha 30 anni, un violino e il passaporto di un Paese che non c’è più. Si esibisce alle 21.30 al Teatro Cavallerizza con la Adovabadan jazz band in un concerto dove le roventi ritmiche dello swing anni venti incontrano le arabesche melodie del Medio Oriente, a prova che l’arte e la musica danzano sopra i confini. Alaa Arsheed quando ha lasciato la Siria, pochi mesi dopo l’inizio della titanica quanto disperata rivolta contro Assad, sognava di tornare presto a casa per ricominciare a suonare e dar lezioni di musica ai bambini; adesso si sente come Orfeo che per sottrarre agli inferi il suo passato non deve mai voltarsi indietro. La storia di Alaa è quella di una generazione di siriani che quattro anni fa ebbe l’ardire d’immaginarsi rivoluzionaria: giovani colti, liberal, borghesi, sufficientemente audaci da sfidare il silenzio dei genitori terrorizzati dal regime ma non abbastanza per sopravvivere al tiro incrociato di Damasco e della follia islamista. Oggi è un fantasma apolide, epigono di un ex paese sepolto sotto una guerra da almeno 250 mila vittime e oltre 5 milioni di profughi. |